Lorenzo D’Angiolo è nato a Seravezza nel 1939; ha studiato all'Accademia di Belle Arti di Carrara, dove ha insegnato discipline pittoriche dal 1965 al 1975. Ha cominciato la carriera di pittore all'inizio degli anni Settanta, partecipando a numerosi premi di pittura a carattere nazionale e internazionale, dove ha ottenuto una serie di affermazioni. Dal 1971 prende parte a rassegne di carattere culturale e organizza, con successo, mostre personali in varie parti d'Italia. Negli anni Ottanta compie i primi passi verso la fotografia. La prima mostra fotografica importante è alla Casa Biancalana di Lucca nel 1995; nel 1996 viene invitato dal Comune di Santa Croce a esporre, per la prima volta, opere di pittura e fotografia nelle sale della Villa Pacchiani.
Comunemente si pensa che il colore sia una proprietà dei corpi, come la massa o il materiale di cui sono fatti. In realtà il colore di un oggetto dipende dalla luce, dalla sua struttura atomica e molecolare e, naturalmente, dalla nostra vista che è un binomio di occhio e cervello. Tutto parte dalla luce! Senza la luce, dunque, non esiste il colore! Sul concetto di colore, come sensazione prodotta sull’occhio dalla luce riflessa, lavora da anni il pittore Lorenzo D’Angiolo, con dei risultati magnifici che ne fanno il degno erede di quelle lontane ricerche artistiche sulla scomposizione del raggio luminoso, che alla fine dell’Ottocento muovevano da artisti grandissimi quali i francesi Paul Signac e Georges Seurat. Allo stesso modo, potremmo considerarlo un “pronipote” dei Divisionisti italiani, Giovanni Segantini e Gaetano Previati, con i loro filamenti di colore puro (cioè non mescolato al nero e al bianco), strettamente accostati per offrire, a distanza, la percezione della fusione cromatica. Colori come filamenti carichi di tensione e di energia vitale. Da qui a Giacomo Balla che, nel dipinto Lampada ad arco, trasforma la luce elettrica, che si espande nel buio della notte da un ordinario lampione, nella protagonista assoluta dell’opera, trasponendola nel segno grafico e dinamico della sua propagazione. Sono loro i veri progenitori di Lorenzo D’Angiolo, che parte dalla fotografia, come tanti fra i più grandi artisti del Novecento, perché l’occhio e la luce restano i termini di quella magnifica avventura che ci insegna quanto la sensazione visiva non sia territorio solo retinico. E vi invito a guardare i suoi dipinti da vicino, poi da lontano e poi ancora da vicino, per comprendere la complessità dei suoi orditi, composti da una infinità di corpuscoli vibranti, un universo di particelle in frenetico movimento, un circuito che trova il suo connettore soltanto nella luce e nella mente dell’artista che ce la restituisce attraverso il filtro di una qualità tecnica di grado elevatissimo. D’Angiolo ha dunque il merito di metterci in contatto con l’emozione di una luce che rinuncia alla dimensione del racconto per farsi tessuto connettivo di un incanto purissimo e assoluto, magnificamente incondizionato dai canoni della resa figurale, votato alla ricerca di uno spazio assoluto, quasi siderale. In questo modo, egli ricuce, all’interno della propria coscienza di uomo contemporaneo, il vecchio presupposto divisionista della pittura come Scienza, cioè strumento di conoscenza, al concetto di un’ arte astratta, che trova i suoi fondamenti nella storia dell’arte internazionale, com’era proprio nelle affermazioni artistiche di punta degli anni Sessanta e che guardava allo Spazio come nuova frontiera dello spirito umano. Pensiamo ad un nome per tutti, quello di Lucio Fontana. In tal senso, osservando D’Angiolo, mi piace pensare che, se da una parte i pittori Divisionisti potrebbero essergli “antenati”, Lucio Fontana sicuramente gli è padre. Il tutto in soluzioni totalmente autonome, che appartengono solo a lui e che lo contraddistinguono, come è nella realtà dei migliori figli, nella continuità della Storia.
Maria Cristina Ricciardi